Il Tar Lazio ha respinto il ricorso presentato da una società operante in ambito immobiliare per l’annullamento della nota – e del conseguente provvedimento di decadenza dalle tariffe incentivanti – con la quale il GSE aveva avviato un procedimento di verifica documentale su un impianto fotovoltaico incentivato di proprietà della società appellante.
Tale nota muoveva dal fatto che il titolo abilitativo all’intervento, indicato in sede di domanda, era una SCIA che il Comune aveva dichiarato inefficace prima che l’installazione dell’impianto venisse completata e che l’unico titolo autorizzativo valido risultava essere la comunicazione di inizio lavori, presentata dopo che l’impianto era stato installato.
All’esito del procedimento di verifica il GSE aveva comunicato alla ricorrente la decadenza dalle tariffe incentivanti per “insussistenza dei requisiti per la qualificazione dell’impianto, per l’accesso agli incentivi ovvero autorizzativi” e che la nota del Comune, con cui era stata dichiarata l’inefficacia della SCIA, non era stata impugnata.
Il TAR, pronunciandosi quindi nel merito del ricorso, lo ha ritenuto infondato – e quindi respinto – in quanto l’impianto è stato realizzato in mancanza di valido titolo edilizio autorizzativo né si può ritenere che la successiva comunicazione di inizio lavori abbia sanato tale difetto di autorizzazione.
Ciò vale tanto più, considerando che la nota inibitoria dei lavori non è esclusivamente motivata con riferimento al vincolo ambientale, bensì anche con carenze documentali.
Il Comune con tale nota, non impugnata, ha formalmente vietato l’esecuzione o prosecuzione dei lavori, e dunque, nel momento in cui la ricorrente, circa due mesi dopo la ricezione di tale inibitoria, ha chiesto l’ammissione agli incentivi, non poteva legittimamente indicarla quale titolo abilitativo (né il Gestore è stato, ad ogni modo, messo al corrente delle vicende relative al titolo autorizzativo).