Il Consiglio di Stato, con sentenza del 20 luglio, ha accolto il ricorso in appello presentato da una società operante in ambito eolico, nei confronti della sentenza con cui il TAR del Lazio aveva confermato la legittimità del provvedimento di decadenza dal registro GSE per gli impianti minieolici della ricorrente, con conseguente diniego di ammissione alle tariffe incentivanti.
La decadenza era stata disposta in ragione dell’asserita configurazione di un artato frazionamento, comprovato dall’identità della compagine sociale di minoranza delle due società e dalla contiguità delle particelle catastali ove erano ubicati gli impianti i quali dovevano, conseguentemente, essere ricondotti ad un unico soggetto responsabile e considerati come un unico impianto.
Con ricorso al TAR Lazio, la società ha quindi impugnato sia il provvedimento di decadenza che il provvedimento di convalida del diniego di tariffe incentivanti.
L’art. 5, comma 2, lett. b), del D.M. 6 luglio 2012 sancisce che più impianti alimentati dalla stessa fonte, nella disponibilità del medesimo produttore o riconducibili, a livello societario, a un unico produttore e localizzati nella medesima particella catastale o su particelle catastali contigue si intendono come unico impianto di potenza cumulativa pari alla somma dei singoli impianti.
Al fine di integrare la fattispecie devono quindi ricorrere due presupposti: i) uno oggettivo, ossia la localizzazione degli impianti nella medesima particella catastale o su particelle catastali contigue; ii) uno soggettivo consistente nella riconducibilità degli impianti, a livello societario, ad un unico produttore.
Il TAR Lazio ha tuttavia riconosciuto l’insufficienza dell’elemento indiziario basato sull’addotto intreccio di una quota societaria di minoranza in una delle imprese e l’amministrazione dell’altra allorché non venga quanto meno dedotto che il socio di minoranza si sia ingerito nella gestione della società, o vi abbia esercitato alcuna influenza dominante.
Il ricorso è stato quindi accolto sulla base della considerazione secondo cui la mera partecipazione di minoranza in una società da parte chi riveste una carica sociale nell’altra, in difetto di ulteriori elementi che ne dimostrino l’effettiva ingerenza nella gestione, costituisce indizio che non possiede quei requisiti di gravità, precisione e concordanza imprescindibili ai fini della rilevanza probatoria poiché di valenza non univoca, potendo rappresentare una mera diversificazione dell’investimento in capitale di rischio piuttosto che un’ipotesi di artato frazionamento, sicché è del tutto inidoneo, ove non corroborato dalla prova del reale potere di ingerenza dei soci di minoranza nella gestione sociale, a dimostrare l’unicità del centro decisionale e di gestione che costituisce il presupposto essenziale del collegamento societario.