Con il parere reso in data 28 luglio 2025, il Comitato di vigilanza RAEE-RiPA ha fornito risposta ad un quesito riguardante gli obblighi di iscrizione al Registro nazionale dei soggetti obbligati al finanziamento dei sistemi di gestione dei RAEE (art. 29 del D.Lgs. 49/2014), per le imprese che svolgono attività di “ricondizionamento” di apparecchiature elettriche ed elettroniche (AEE).
In tale parere, il Comitato ha ritenuto che un’impresa che effettua attività di ricondizionamento di AEE (badate bene anche in termini di "riparazione"), non debba essere considerata “produttore” ai sensi dell’art. 4, comma 1, lett. g), del D.Lgs. 49/2014, in quanto non si tratta di una 'nuova' apparecchiatura e pertanto non è soggetta agli obblighi previsti dall’art. 8, tra cui l’iscrizione al Registro AEE nazionale e di conseguenza al finanziamento fine vita.
Purtroppo l’impianto argomentativo adottato risulta generico, privo di un’analisi puntuale delle pluirime fattispecie concrete e delle relative implicazioni giuridiche. Più in particolare, il Comitato si limita a richiamare definizioni normative di carattere generale, senza approfondire la natura giuridica delle AEE oggetto di ricondizionamento, né distingue in modo chiaro tra “prodotto” e “rifiuto”.
Il termine “ricondizionamento”, peraltro, non è rintracciabile in termini di definizione nella normativa ambientale vigente e si presta a molteplici interpretazioni. In presenza di tale ambiguità, sarebbe stato auspicabile che il Comitato avesse preso in considerazione, per rispondere al quesito, le differenti fattispecie previste dal diritto positivo, in particolare:
- l'inquadramento dell'AEE come rifiuto (art. 183, c.1, lett. a), D.Lgs. 152/2006)
- la definizione di preparazione per il riutilizzo (lett. t-sexies del medesimo articolo).
In effetti, laddove l’AEE oggetto di intervento sia stata dismessa dal detentore e presenti i requisiti oggettivi e soggettivi per essere qualificata come rifiuto, l’attività di ricondizionamento, dovrebbe essere correttamente inquadrata come "preparazione per il riutilizzo" ai sensi dell’art. 183, comma 1, lett. t) del D.Lgs. 152/2006, e dunque come operazione di recupero (R3/R4). Tale inquadramento presuppone che il riparatore sia in possesso delle necessarie autorizzazioni ambientali (ai sensi degli artt. 208, 214 e ss. del D.Lgs. 152/2006) e rispetti i requisiti previsti dalla normativa per le operazioni di recupero. Ma non solo. Qualora il bene ricondizionato fosse reimmesso sul mercato nazionale come prodotto "preparato per il riutilizzo" rimarrebbe scoperto in termini di responsabilità estesa del produttore (EPR) di cui al D.Lgs. 49/2014, attuativo della Direttiva 2012/19/UE (RAEE).
Va infatti ricordato che il contributo ambientale versato al momento della prima immissione sul mercato di una AEE nuova, ad oggi, serve a finanziare la futura gestione del rifiuto che da essa deriverà (una volta solo). Difatti qualora l’apparecchiatura, già divenuta rifiuto, venga recuperata (riparata) e reimmessa in commercio senza il versamento di un nuovo contributo, si determinerebbe un pregiudizio all’equilibrio economico del sistema RAEE, poiché la successiva gestione (del rifiuto) rimarrebbe priva di copertura finanziaria. Diversamente, nel caso di un’AEE che non sia mai divenuta rifiuto — e che venga semplicemente riparata nel circuito commerciale — non si pone alcun tema di duplicazione o mancanza di finanziamento, poiché il contributo ambientale non è stato ancora attivato, né utilizzato, e nessun costo di gestione del rifiuto è stato generato.
In tal senso avrebbe meritato la giusta attenzione la definizione di "produttore" contenuta nell’art. 4, c. 1, lett. g), del D.Lgs. 14 marzo 2014, n. 49, alla luce del quesito formulato ed in fuzione della reimmissione sul mercato nazionale di apparecchiature elettriche ed elettroniche (AEE). La norma in questione qualifica come produttore qualsiasi persona fisica o giuridica stabilita nel territorio nazionale che immette sul mercato nazionale AEE, senza distinguere tra apparecchiature nuove, usate o rigenerate.
La ratio ambientale della responsabilità estesa del produttore (EPR) – volta a garantire che chi immette prodotti sul mercato si faccia carico dei costi di gestione a fine vita – non giustifica infatti un’esclusione automatica dei dispositivi rigenerati dal perimetro della normativa. Al contrario, l’atto di reintroduzione nel ciclo economico di un’AEE, anche se solo recuperata, ne determina una nuova “immissione sul mercato” ai sensi dell’art. 4, c. 1, lett. aa), con conseguente riattivazione degli obblighi EPR in capo al soggetto che effettua tale operazione.
Tale impostazione, non deriva solo da una lettura teleologica, in quanto trova un solido fondamento anche nell’interpretazione letterale e sistematica della normativa europea, laddove si definisce il produttore in relazione all’atto di immissione sul mercato, senza distinguere tra AEE nuove o usate. Sebbene manchi, allo stato attuale, un’esplicita conferma in sede nazionale o comunitaria, l’estensione del regime EPR anche ai soggetti che reimmettono AEE ricondizionate sul mercato – in particolare se con proprio marchio o nell’ambito di un’attività commerciale organizzata – appare coerente con la ratio ambientale della Direttiva quadro e con gli orientamenti generali sulla responsabilità per la fase di fine vita dei prodotti.
E facile intendere che le conseguenze operative di questa lettura sono tutt’altro che marginali: il soggetto 'ricondizionatore', o che la ricommercializza, dovrebbe infatti procedere all’iscrizione al Registro AEE, aderire a un sistema collettivo o individuale per il finanziamento della gestione dei RAEE, versare l’eco-contributo e rispettare gli obblighi informativi e di marcatura (simbolo del cassonetto barrato, informazioni sul corretto smaltimento, ecc.).
In assenza di una disciplina esplicita che regoli in maniera differenziata le AEE ricondizionate, l’interpretazione letterale e finalistica dell’art. 4, c. 1, lett. g), consente di colmare un potenziale vuoto normativo, assicurando una più equa ripartizione degli oneri ambientali e prevenendo fenomeni elusivi a danno dei produttori originari e dei sistemi collettivi che finanziano la gestione dei RAEE.
Alla luce di tali considerazioni, il parere del Comitato appare carente sotto il profilo metodologico. Esso avrebbe dovuto distinguere, in maniera puntuale, le diverse ipotesi operative:
- la mera riparazione di un apparecchio usato detenuto da un soggetto, ad esempio, che non intende disfarsene (ipotesi estranea alla disciplina sui rifiuti);
- la preparazione per il riutilizzo di un bene che ha assunto la qualifica di rifiuto.
Il ricondizionamento, o ciò che rappresenta, sono pratiche virtuose in chiave di economia circolare, ma devono essere inquadrate correttamente alla luce delle definizioni esistenti nella normativa ambientale. L'approccio adottato dal Comitato appare privo della complessità necessaria e rischia di generare incertezze giuridiche e squilibri nel sistema RAEE.
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