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news Contributi & Commenti

  • 23 Ottobre 2025
  • Contributi & Commenti
  • Ottavio Saia Ottavio Saia

La nuova egemonia verde della Cina

Nel giro di un anno la Cina ha messo in rete quasi 280 GW di solare, un balzo che eclissa la capacità complessiva fotovoltaica di Italia (37) più Spagna (32) più Francia (22) più UK (18) più Australia (38) pari a circa 147 GW, quasi il doppio. È abbastanza energia pulita da alimentare milioni di case e tagliare una fetta enorme di emissioni globali. I dati ufficiali della NEA (Nuclear Energy Agency) parlano di 278 GW FV aggiunti nel 2024 (con capacità totale utility-scale sopra gli 880 GW), mentre fonti di mercato confermano un incremento intorno ai 277 GW, numeri che consolidano un primato senza precedenti. 

Non è (solo) ambientalismo: è strategia industriale di lungo periodo. Pechino sta guidando l’innovazione nelle tecnologie che definiranno il secolo — produzione di massa, integrazione di filiera, abbattimento dei costi — tenendo conto delle proprie risorse e costringendo gli altri a correre. L’IEA (International Energy Agency) prevede che la Cina assorbirà circa il 60% dell’espansione globale delle rinnovabili entro il 2030; nel frattempo, i prezzi globali dei moduli sono crollati a 0,10 $/W, nuovi minimi storici, segno di una sovracapacità che però spinge l’adozione ovunque. 

Gli effetti a catena sono già evidenti. I pannelli costano molto meno rispetto a pochi anni fa, l’accesso alle rinnovabili migliora e — cosa decisiva — i capitali seguono: nel 2024 gli investimenti globali nella transizione energetica hanno superato per la prima volta i 2,1 trilioni di dollari, trainati proprio da Cina e supply chain pulite. Questa ondata di capitali sta accelerando i programmi governativi, dalla rete ai trasporti elettrici, e ristrutturando le catene del valore dell’energia. 

Una nuova stretta destinata a cambiare gli equilibri mondiali la troviamo in un semplice Announcement (n. 58/2025 di MOFCOM + GACC ): dal prossimo 8 novembre 2025, Pechino introdurrà licenze obbligatorie per l’export di una serie di componenti, macchinari e tecnologie lungo la filiera delle batterie agli ioni di litio. L’Announcement include, tra l’altro, celle/pacchi ≥ 300 Wh/kg, apparecchiature chiave per la produzione (avvolgitrici, impilatrici, riempitrici, sistemi di formazione/aging), materiali catodici (compresi precursori NCM/NCA e soglie per LFP), anodi in grafite artificiale e relativi processi (grafitizzazione continua, rivestimento, ecc.). Non è un bando, ma una frizione regolatoria che innalza il potere di filtro di Pechino su beni e know-how critici della filiera globale degli accumulatori, con impatti certi e diretti sui tempi e sui costi europei. 

Il segnale è chiaro, Pechino vuole blindare primato tecnologico e rapidità decisionale in questo ambito strategico, grazie a una leva regolatoria autocratica che agisce in tempi strettissimi e ad un Paese ricco di risorse. Dopo aver costruito capacità record (FV 2024 a ~278 GW nuovi), ora calibra l’accesso a componenti e processi a maggior valore aggiunto per gli accumulatori, esattamente dove Europa e Stati Uniti disuniti e in competizione stanno cercando di recuperare terreno.

La pianificazione eurounitaria deve valorizzare le nostre competenze distintive e le risorse disponibili, incluse quelle attivabili con l’economia circolare. Metalli e terre rare non si rimandano ai Paesi che ce li hanno venduti, incastonati in telefonini o pale eoliche o batterie, per poi pagarli di nuovo per ‘aggiustarli’ (conosciamo tutti la trafila che il Legislatore UE concede) e una terza volta per riottenerli in nuovi prodotti: così paghiamo tre volte ! Certo non risolveremo il problema, ma sarebbe preferibile recuperarli o aggiustarli in Europa, in modo sicuro e sostenibile, dove siamo più bravi per capacità e know-how. Ma le regole doganali vanno appllicate rigorosamente laddove esistenti ed adeguate laddove carenti.

Si decide (velocemente) tenendo conto di ciò che si ha o si può avere, si investe e ci si confronta con la ricerca per capire dove andare e si parla con l'industria per definire cosa realizzare. Non la pancia. La lezione dell’automotive di questi giorni — arrivata a danno fatto — deve essere un monito.
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